Di fronte a un movimento che predicava la netta separazione tra stato e chiesa, che proponeva una chiesa di professanti in cui si entrava con un battesimo consapevolmente richiesto e che praticava un rigoroso e totale pacifismo, le autorità secolari e religiose, cattoliche e protestanti, non potevano che reagire e il 12 aprile del 1529, l’Imperatore Carlo V promulgò l’Editto di Spira, valido in tutto l’impero, che stabiliva: «Chiunque ribattezza o si fa ribattezzare dopo aver raggiunto l’età della ragione, uomo o donna che sia, deve essere condannato a morte, sia con la spada, sia con il fuoco, sia con ogni altro mezzo, senza alcun processo preliminare».
Una frangia estremista del movimento anabattista prese il controllo della città di Münster con la forza nel rigido inverno del 1534: il periodo della non violenza era finito …
Ai cittadini di Münster fu chiesto di ricevere il nuovo battesimo.
Chi rifiutava era spogliato di ogni suo avere e espulso dalla città.
Le loro case vennero occupate e depredate.
La situazione degenerò ulteriormente quando altri anabattisti provenienti da varie città si unirono al gruppo, mentre l’esercito del principe-vescovo della regione giungeva alle porte della città ponendola sotto assedio.
Il principe era cattolico, ma trovò ampi consensi tra i protestanti: in breve Münster fu presa in trappola.
I capi della rivolta, Jan Matthys, Johan Bokelson e Bernhard Knipperdolling, istituirono un vero regno di terrore di cui si proclamarono re.
Imposero la totale comunione dei beni, al punto di proibire la chiusura delle porte delle case perché chi era nel bisogno potesse prendere ciò che gli serviva quando lo desiderava.
Fu abolito il denaro ed ogni bene prezioso fu avocato alla causa. Ogni libro, ad eccezione della Bibbia venne bruciato, mentre chi si opponeva veniva eliminato.
La comunione dei beni si estese, per motivi non del tutto chiari, anche alle donne e venne imposta una poligamia forzata: nessuna aveva diritto di restare nubile.
La situazione portò ad un’inevitabile serie di tensioni e violenze, dal momento che il rifiuto della donna o il tentativo di proteggerla da parte di un uomo equivaleva alla morte sulla pubblica piazza, spesso per mano della folla inferocita.
Bokelson stesso, che si era proclamato re alla maniera di Davide, ebbe 16 mogli.
Una di esse rifiutò l’unione e venne da lui stesso decapitata nella piazza della città. Di certo tra le diciannove tesi redatte nella città figurava il rifiuto del matrimonio secondo il rito cattolico che non avrebbe avuto valore se non preceduto da un rinnovo del battesimo
La rivolta di Münster durò poco più di un anno e mezzo, e terminò con pari violenza: la città era alla fame e circondata dall’esercito dei lanzichenecchi quando, nel 1535, un cittadino aprì le porte all’esercito, che entrò massacrando quasi tutta la popolazione, inclusi coloro che si erano arresi. I capi del movimento vennero presi, torturati per ottenere l’abiura (abiura = rinuncia libera e perpetua, sotto la fede del giuramento, a cose, persone o idee, alle quali prima si era aderito: fare formale a. dei proprî errori; in partic., ritrattazione giurata mediante la quale si rinuncia per sempre a una dottrina fino a quel momento praticata, riconoscendola erronea ed eretica ) e, constatata l’inutilità della cosa, giustiziati.
I loro corpi vennero appesi in tre gabbie al campanile della chiesa di San Lamberto sotto gli occhi di tutti. Le gabbie sono ancora lì oggi, anche se le spoglie vennero rimosse circa 50 anni dopo.
Questo è appunto un punto di svolta, poiché da questo momento chi ancora si dichiarava anabattista cercava di prendere il più possibile le distanze dagli eccessi di Münster.
Molti riconobbero quindi come loro capo Menno Simons che predicava la totale nonviolenza.
Un altro aspetto fondamentale della sua dottrina era la critica alla transustanziazione. In questo campo Simons andò molto oltre ciò che aveva affermato Martin Lutero (che parlava della presenza di Cristo e che si avvicinava alla consustanziazione): Menno Simons, infatti, credeva e insegnava che l’Eucaristia avesse un valore puramente simbolico e che Cristo non fosse effettivamente presente.
Per i successivi due secoli i Mennoniti furono ovunque perseguitati sia da cattolici che da protestanti.
Questo certamente li influenzò notevolmente, soprattutto per quanto riguarda il loro cercare la protezione della congregazione e la loro visione pessimistica del mondo.
Nel tempo i mennoniti si dispersero tra Olanda, Prussia, Ucraina. Altri, come in passato già avevano fatto i Quaccheri, emigrarono negli Stati Uniti, in Pennsylvania, sulla scia del “santo esperimento” di William Penn. Alla fine del XVII secolo, dai Mennoniti si staccarono gli Amish, ad opera di Jakob Amman.
La maggioranza però restò in Europa, nella zona di Danzica. Ma nel 1789 Danzica era passata sotto il dominio prussiano e i nuovi padroni luterani non amavano molto i vecchi anabattisti.
Così quando lo zar di Russia, bisognoso di bravi agricoltori, aveva offerto loro di trasferirsi in Ucraina, sulle rive del mar Nerola maggioranza dei mennoniti aveva accettato.
I menoniti ancora oggi chiamano quel periodo “l’età dell’oro” e questo ci fa capire che quello che è avvenuto dopo non fosse poi così positivo.
Nel 1861 i servi della gleba erano stati liberati e l’aria che tirava era impregnata di nazionalismo panslavo… meglio andarsene anche perché lo zar stava pensando di arruolarli nel suo esercito, cosa improponibile perché pacifismo e non violenza erano ancora il nucleo della fede menonita. Chi rifiutò di partire pagò la sua scelta ai tempi della Rivoluzione russa, cancellato definitivamente dalla storia.
Così iniziò l’esodo che li porterà prima ad Amburgo, poi a Liverpool e quindi in Quebec, poi nel Dakota e infine in Manitoba. Sembrava una soluzione accettabile ma allo scoppio della prima guerra mondiale in Canada i tedeschi e i loro discendenti non erano particolarmente amati.
Ci volle del tempo ma nel 1927 i pellegrini ripartirono, destinazione Paraguay.
Gli immigranti alla fine giunsero a Puerto Casado, giusto in tempo per farsi decimare da una epidemia di tifo. Dopo un anno di ambientamento iniziò la marcia verso ovest.
Verso il cuore del Chaco, a fondare un rosario infinito di fattorie dai nomi impossibili: Schӧntal, Bellavalle, la dove non solo mancavano almeno le colline (serve qualcosa di inclinato per distinguere una valle da una pianura) ma quasi tutti i pozzi davano acqua salmastra, l’erba era immangiabile per il bestiame e mancavano persino le pietre da costruzione.
Con teutonica determinazione avevano comunque resistito e poco alla volta erano sorti frutteti e campi … in tempo per le cavallette che in sei mesi, nel 1936 avevano divorato tutto.Davvero “Tod, Not und Brot”, morte, miseria e pane
Su questa prima ondata migratoria se ne innesta una ancora più bizzarra: i siberiani, alla fine del 1930.
Per alcuni anni i mennoniti avevano cercato un improbabile isolamento dal mondo proprio in Siberia, tra lo Zeja e il Bureja. Poi Stalin li aveva scoperti e aveva deciso che quanto possedevano doveva tornare al popolo russo e così erano fuggiti in Manciuria e poi in Cina, a Harbin. Dopo un anno di Cina la decisione di ripartire: Shangai, Saigon, Singapore, Suez, Marsiglia, Le Havre, Lisbona, Rio, Buenos Aires, Asuncion, Puerto Casado … fino al “kilometro 54”.
L’unica cosa che rimane di quella migrazione è il tamarindo di cui “cinesi” portarono i semi e che contro ogni aspettativa attecchirono nell’ostile Chaco.
Ultima ondata di Mennoniti dopo la seconda guerra mondiale. La mano di Stalin era stata pesante con i Mennoniti che avevano scelto di rimanere in Ucraina. Nel 1941 le colonie ucraine erano state “liberate” dai panzer tedeschi ma la successiva riscossa sovietica aveva spinto i quasi trentamila Mennoniti sopravvissuti verso ovest. La gran parte venne ripresa dai sovietici e si perdono per sempre le loro tracce, molti morirono sulla strada e chi sopravvisse arrivando in Germania finì in divisa con un fucile in mano, pronto a ritornare all’inferno.
Nel 1947 i pochi sopravvissuti erano stati imbarcati destinazione Paraguay. Era l’ultima ondata, la più derelitta, pochi gli uomini validi e soprattutto col morale sotto i tacchi … per quindici anni era stato proibito loro l’uso delle chiese e per molti, se Dio era mai esistito, era morto tra i pidocchi, il nevischio e la carne bruciata della guerra …
Ma basta con la storia … veniamo al presente. Nella regione paraguayana del Chaco vi sono diverse colonie mennonite, tra cui la più antica e tradizionalista è quella di Loma Plata.
Arrivando a Loma Plata le scritte in tedesco sui cartelli stradali e sugli edifici, la lingua tedesca che si sente in sostituzione di quella spagnola, e lo stile architettonico delle case, diverso da quello ispanico del resto del paese, ci avvertono della specificità di questo luogo. Attualmente a Loma Plata vivono circa 2.000 persone, e vi sono tre chiese con dei centri per le attività ricreative di giovani e ragazzi, per le iniziative delle organizzazioni delle donne della comunità e per l’apprendimento delle attività professionali.
Vi sono inoltre diverse scuole, tra cui anche una Scuola della Bibbia per l’insegnamento religioso, un ospedale e una stazione radio locale. Nella città di Loma Plata si lavora come in tutte le altre città, con aziende, cooperative, uffici e negozi di tutti i generi, anche se in tutti questi si cerca di lavorare secondo l’etica anabattista.
C’è anche un piccolo museo che raccoglie i documenti della loro storia.